lunedì 21 luglio 2014

Buona linfa non mente

Dalla cucina la radio accesa invia echi di musica melodica. 
L’ortensia nel patio scuote le foglie in un fremito. Per empatia rabbrividisco anch'io, pensando al gelo della ventata che le ha mosso le fronde. Ma le cime degli alberi sono immobili. Sarà stato un singolo refolo solitario che repentino ha colpito la pianta ed evitato me.

Continuo a potare la rosa nera che ho comprato al supermercato. Compro molte piante al supermercato. Questo anno ho preso varie rose, un mirtillo, un lampone ed un’uva spina.
Che quella che avevo comprato fosse uva spina l’ho intuito solo dopo averla comprata perché la scritta sulla confezione Ribes Uva Crispa mi  aveva fuorviato. E che è? Però mi piaceva non mi interessava entrarci in confidenza formale.
In più a mia precisa richiesta l'addetto all’orto-frutta mi aveva spergiurato che non era una pianta commestibile. Invece i pittogrammi sulla confezione ora mi parlano chiaro: a settembre si mangia qualcosa di giallino simile ad un chicco d’uva bianca, per colore e dimensioni, dalla superficie retata come quella di un popone, a frutto singolo come una mela appesa. Il fusto spinoso ha poi confermato i miei sospetti.

Non ci si può fidare di un commesso del reparto vegetali che spolvera i cartoni lucidi con su la foto di una pianta rigogliosa, senza annaffiare la veccia che è cresciuta dentro il parallelepipedo buio. Quando ho tolto il mirtillo dalla confezione era in piena ipoclorofillemia senza essere mai stato sotto un sasso. 

Il giovane addetto dell’orto-frutta ha mai sentito nominare l’uva spina? Ai miei tempi era un nome magico, non credevo che esistesse davvero. Lo leggevo nelle fiabe ma non c'era Peppa Pig. Collodi scriveva della vecchia fata che con un dito in bocca faceva tre fischi e poi chiamava a raccolta un esercito di frutta uva spina compresaAndersen raccontava di un matrimonio combinato di un lumachino in cerca di moglie e della banda di zanzare ruffiane che gli indicano la moglie ideale che vive... a cento passi d’uomo da qui, su un cespuglio di uva spina.
Ma che vuoi che ne sappia un meno che trentenne cresciuto a Manga giapponesi... 

Dalla cucina giunge il gorgheggio finale di una ballata di Gigi D’Alessio. Di nuovo l’ortensia ondeggia lievemente, e di nuovo rabbrividisco mentre gli alberi, immobili, ci contemplano entrambe senza commenti. Forse è Gigi D’Alessio che mi provoca la pelle d’oca.
È meglio se spengo la radio.
Parlo, tanto sono sola... ma in quel mentre l’ortensia si piega verso di me in una specie di inchino e una foglia mi sfiora la mano.
Anche tu non gradisci ‘sta lagna?
Sorrido mentre cerco di capire da che parte giungesse il vento che l’ha piegata. 
Parlo spesso con le piante ma di solito non converso. Faccio complimenti generici sulla bellezza vegetale e apprezzamenti standard per i nuovi germogli che mi commuovono ad ogni nuova bella stagione. Ho già avuto modo di complimentarmi con la mia uva pizzutella che ha già prodotto i suoi grappoli neonati.
Ancora la foglia mi sfiora. Questa volta con un contatto vero, un gesto deciso, un tocco quasi umano che mi lascia senza parole.
Ora non cerco più movimenti dell’aria e non trovo spiegazioni logiche. Ho un attimo d'ansia ma non penso ancora che la pianta sia posseduta.
Dalla cucina provengono le voci sguaiate di un altro tipo di indemoniati: conduttori radiofonici, con poca fantasia e molta maleducazione, che battibeccano con la malcapitata vittima di uno scherzo telefonico.
Che diamine! Ma è possibile che non ci sia una radio che trasmetta musica decente e niente altro?
Non so perché continuo ad urlare: sono sola, nessuno mi risponderà. Almeno è quello che mi ostino a pensare. Invece l’ortensia mi tocca, e questa volta mi spinge, quasi mi invita ad allontanarmi.
Allora vuoi proprio che spenga la radio? 
Le dico calma fissando le palle rosee di fiorellini a quattro petali. L’infiorescenza centrale sussulta, tentennandosi ora in avanti, ora indietro.
Diamine, ma tu mi stai dicendo di sì??
Questa volta non attendo la risposta della pianta: interrompo il mio lavoro e vado a spegnere la radio. Ma lo stomaco manifesta chiari segni di tensione e ora non mi va di affrontare le stranezze dell’ortensia in completo silenzio. Indugio poi riaccendo e cerco un sottofondo che mi confonda tatto e udito impedendomi di rimuginarci troppo sopra. Scelgo Mozart che va bene su tutto.
Torno in giardino facendo finta di niente, pronta a cominciare da capo.
Dove ero rimasta?
Ricapitolo ad alta voce non aspettandomi alcuna risposta. Invece l’ortensia riconoscente mi porge un suo rametto secco da potare. Poi si immobilizza. Tronco con un tac.
Serve altro?
Ma lei non mi parla piùMozart continua con le sue sequenze virtuose.


                       

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