venerdì 22 maggio 2015

Il buco


Dopo cinque mesi di buchi impari il decorso delle vene del tuo braccio anche se non hai mai studiato anatomia. La linea blu che si intravede sotto la pelle del dorso della mano - e sopra i tendini tesi nell’articolazione delle dita - ora impercettibilmente piatta, ora evidente e tumultuosa, gira verso il polso e lo supera dalla parte del pollice e si addentra nella parte interna dell’avambraccio, su, su fino al gomito.
Ecco, questo è il territorio di predazione del tuo sangue, ove infiniti sono gli accessi.
Il dorso della mano e il polso presentano difficoltà e ostacoli alla penetrazione, oltre ad essere decisamente più propensi a divenire dolenti, di un dolore sordo e duraturo.
L’interno del braccio e l’incavo del gomito sono decisamente più arrendevoli ma anche estremamente fragili e le continue profanazioni mettono a rischio la ricerca di un varco per il buco successivo. Cinque mesi significano una trentina di buchi e una discreta quantità di veleno trasferito.
Gentile collega, ho visto oggi il suo paziente affetta da eteroplasia intestinale IV stadio. Il  paziente inizierà un trattamento chemioterapico c/o il nostro day hospital con Oxaliplatino e Bevacizumab endovena , ogni 21 giorni, e Capecitabina orale da assumersi per 14 giorni ogni 21.
I medici dell'ambulatorio oncologico avvisano con ferma cortesia il medico di famiglia.
Di primo acchito si pensa al platino nella sua veste naturale di materiale prezioso. Il nobile metallo evoca le immagini dell’auspicabile briglia ad un solitario di fidanzamento, o di un collier sottile con pendente prezioso o di due orecchini che brillano, nell’altalena naturale dei lobi. Cornici splendenti intorno a splendide donne. Di platino anche i vistosi cronografi forgiati da abili artigiani svizzeri che circondano il polso di professionisti affermati e di favoriti eredi di grandi fortune.
Roba utile e futile, da esibire.
Nel corpo il platino non luccica. Brucia, buca, distrugge i tessuti giovani in continuo rinnovamento, come le pareti delle vene che, dopo cinque mesi, non sono più blu. Sono verdine, marroni, per quello che ne puoi capire tu. Dure e impenetrabili, per quello che percepisce l’infermiere che cerca un varco per il suo ago profanatore, non sempre accompagnato da gentile farfallina, che dovrà essere inserito nel braccio e lì dovrà mantenersi saldo per tutto il tempo necessario – intervallo lungo, lunghissimo -  per non incorrere in sorprendenti, spiacevoli, effetti, collaterali alla venefica terapia.
Dipende dal caldo... dipende dal freddo... dipende dalla vena... dipende dal tempo...
Mentre il liquido incolore scorre nella vena, il braccio intorno comincia a dare la sensazione di mille punture di spilli. Ricorda i giochi delle elementari, ai giardinetti, quando ci si confrontava con atti di forza e i più determinati e prepotenti piegavano ai loro voleri i mansueti, torcendo loro i polsi perché fosse chiaro chi era a comandare.
Ma gli spilli di platino li senti più intensi, più in profondità e la sensazione dolorosa si espande dalla zona del buco, a metà avambraccio, su fino all'incavo del gomito e poi scende giù fino al dorso della mano, là, sotto i tendini guizzanti della mano inquieta, incurante di caldo, freddo, vena e tempo. E tu già sai che il fastidio – dolore è termine eccessivo, anche se non improprio -  durerà ben oltre quel giorno di perfusione.
Ma sei preparato perché il bravo oncologo ti ha comunicato i mille pericoli a cui vai incontro - tossicità midollare, tossicità gastrointestinale, tossicità epatica e renale, reazioni allergiche, astenia fotosensibilizzazione, rash cutaneo, eritrodistesia palmoplantare, spasmo coronario, neuropatia periferica, discrasia ematica (in senso emorragico), ipertensione arteriosa, proteinuria, teratogenicità e letalità embrionale…
Che forse era meglio non averli conosciuti o forse era meglio essere già morti così non se ne parlava più.
Il bravo oncologo, dopo averti spaventato a morte, ti suggerisce anche i rimedi per tenere sotto controllo gli eventi avversi e ti fornisce qualche antidoto per quelli più banali. Semplifica tutto in quattro categorie. O meglio: ciò che puoi tenere sotto controllo è limitato a quattro categorie. Nausea, vomito, diarrea e mucosite. Così ti attrezzi con una valigetta, che ti porti dietro anche per viaggi brevi verso mete limitrofe, che sembra quella di Mary Poppins. Dentro ci sono farmaci e presidi indispensabili nel momento del bisogno. Compresa la crema solare. Se uno odiava l'abbronzaggio selvaggio ora patisce anche l’assenza di insolazione lieve.
La prima seduta di chemioterapia, affrontata in solitaria, lascia una sensazione vaga, un bruciore al braccio, un abbassamento di voce, movimenti inconsulti delle palpebre in reazione al vento, spilli in gola a bere acqua fresca, spilli alle mani a prendere oggetti direttamente dal frigorifero. Il primo controllo ematico lascia soddisfatti col suo emocromo da bistecca umana, senza crepe nella densa popolazione di globuli, rossi e bianchi, e nessuna scoloritura della tonalità scarlatta.
La terapia prosegue sempre uguale, ogni ventuno giorni. I sintomi ogni volta hanno un esordio sempre più precoce, diventano più intensi e durano per più tempo ma, fortunatamente, tutto rimane fisicamente ben sostenibile. L'ipertensione è subito sotto controllo, l’irritazione intestinale provoca deboli conseguenze sull’alvo, senza turbare la quotidiana ripetitività. Col vantaggio della perdita di peso. Poca roba. L’emocromo rimane denso dei suoi componenti misurabili.
La vita scorre come al solito. Casa, lavoro, giardino, cane, gatti, cena, figli, seduta di chemioterapia, pasticche, misura della pressione. Piedi  e mani che si colorano, piedi che si sbucciano. Casa, lavoro, giardino, cane, gatti, cena, figli, seduta di chemioterapia, pasticche, misura della pressione. L'aria fresca che rende afoni. Casa, lavoro, giardino, cane, gatti, cena, figli, seduta di chemioterapia, pasticche, misura della pressione. Le amate verdura e frutta che provocano contorcimenti delle budella.
La mente, preda di mille distrazioni, si risveglia all’improvviso ogni volta, angosciata dall’avvicendarsi dell’ennesima seduta di chemioterapia, memore delle spiacevoli sensazioni lasciate dalla precedente. Il sistema nervoso non riesce ad adagiarsi sul ritmo anomalo di ventuno giorni che sostituisce artificiosamente il ciclo lunare.
Il corpo non cede all’avvelenamento ma ricorda l'ingresso del liquido infiammante e ne intuisce il senso: veleno, poison, venenum. Così, al pensiero di cominciare da capo l’insostenibile rito, lo stomaco si ribella e assume un comportamento subdolo: somatizza ma non espelle. Insorge la repulsione mentale: è un conato psicologico. Ansia anticipatoria, si chiama.
La parvenza di normalità, assecondata da un corpo robusto, è inconsciamente inaccettabile da condurre dentro un’esistenza scandita dal ritmo della terapia. Specialmente per chi non ama essere ripetitivo.
Ritmo accettato a malincuore solo in nome dell’effetto benefico della terapia venefica. E i sintomi lievi, che all’inizio confortano, quando si avvicina il momento di un evento diagnostico, sono angoscianti perché inducono all'errata interpretazione di inefficacia della terapia. Colpa del bravo chirurgo incolpevole, che, temendo di aver esagerato col lungo elenco delle cose terribili che la chemioterapia può produrre, conclude edulcorando… che poi quando gli effetti collaterali sono intensi è anche quando la terapia funziona meglio…
Allora non funziona, pensi, io sto bene!
Quella contro il cancro è una battaglia lunga. Si sa.
(giugno 2013)

1 commento:

  1. Reale e spietato. Un racconto efficace nella sua descrizione del dolore e della lotta quotidiana contro qualcosa che non vedi ma che senti dentro di te. Con la giusta ironia per convincersi che, in fondo, la lotta è dura, ma vincerla non è impossibile. Racconto meritevole.
    Ben trovata.

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