Dopo cinque mesi di buchi impari
il decorso delle vene del tuo braccio anche se non hai mai studiato anatomia.
La linea blu che si intravede sotto la pelle del dorso della mano - e sopra i
tendini tesi nell’articolazione delle dita - ora impercettibilmente piatta, ora
evidente e tumultuosa, gira verso il polso e lo supera dalla parte del pollice
e si addentra nella parte interna dell’avambraccio, su, su fino al gomito.
Ecco, questo è il territorio di
predazione del tuo sangue, ove infiniti sono gli accessi.
Il dorso della mano e il polso
presentano difficoltà e ostacoli alla penetrazione, oltre ad essere decisamente
più propensi a divenire dolenti, di un dolore sordo e duraturo.
L’interno del braccio e l’incavo
del gomito sono decisamente più arrendevoli ma anche estremamente fragili e le
continue profanazioni mettono a rischio la ricerca di un varco per il buco
successivo. Cinque mesi significano una trentina di buchi e una discreta
quantità di veleno trasferito.
Gentile collega, ho visto oggi
il suo paziente affetta da eteroplasia intestinale IV stadio. Il paziente inizierà un
trattamento chemioterapico c/o il nostro day hospital con Oxaliplatino e
Bevacizumab endovena , ogni 21 giorni, e Capecitabina orale da assumersi per 14
giorni ogni 21.
I medici dell'ambulatorio
oncologico avvisano con ferma cortesia il medico di famiglia.
Di primo acchito si pensa al
platino nella sua veste naturale di materiale prezioso. Il nobile metallo evoca
le immagini dell’auspicabile briglia ad un solitario di fidanzamento, o di un
collier sottile con pendente prezioso o di due orecchini che brillano,
nell’altalena naturale dei lobi. Cornici splendenti intorno a splendide donne.
Di platino anche i vistosi cronografi forgiati da abili artigiani svizzeri che
circondano il polso di professionisti affermati e di favoriti eredi di grandi
fortune.
Roba utile e futile, da esibire.
Nel corpo il platino non
luccica. Brucia, buca, distrugge i tessuti giovani in continuo rinnovamento,
come le pareti delle vene che, dopo cinque mesi, non sono più blu. Sono
verdine, marroni, per quello che ne puoi capire tu. Dure e impenetrabili, per
quello che percepisce l’infermiere che cerca un varco per il suo ago
profanatore, non sempre accompagnato da gentile farfallina, che dovrà essere
inserito nel braccio e lì dovrà mantenersi saldo per tutto il tempo necessario
– intervallo lungo, lunghissimo - per
non incorrere in sorprendenti, spiacevoli, effetti, collaterali alla venefica
terapia.
Dipende dal caldo... dipende dal
freddo... dipende dalla vena... dipende dal tempo...
Mentre il liquido incolore
scorre nella vena, il braccio intorno comincia a dare la sensazione di mille
punture di spilli. Ricorda i giochi delle elementari, ai giardinetti, quando ci
si confrontava con atti di forza e i più determinati e prepotenti piegavano ai
loro voleri i mansueti, torcendo loro i polsi perché fosse chiaro chi era a
comandare.
Ma gli spilli di platino li
senti più intensi, più in profondità e la sensazione dolorosa si espande dalla
zona del buco, a metà avambraccio, su fino all'incavo del gomito e poi scende
giù fino al dorso della mano, là, sotto i tendini guizzanti della mano
inquieta, incurante di caldo, freddo, vena e tempo. E tu già sai che il
fastidio – dolore è termine eccessivo, anche se non improprio - durerà ben oltre quel giorno di perfusione.
Ma sei preparato perché il bravo
oncologo ti ha comunicato i mille pericoli a cui vai incontro - tossicità
midollare, tossicità gastrointestinale, tossicità epatica e renale, reazioni
allergiche, astenia fotosensibilizzazione, rash cutaneo, eritrodistesia
palmoplantare, spasmo coronario, neuropatia periferica, discrasia ematica (in
senso emorragico), ipertensione arteriosa, proteinuria, teratogenicità e
letalità embrionale…
Che forse era meglio non averli
conosciuti o forse era meglio essere già morti così non se ne parlava più.
Il bravo oncologo, dopo averti
spaventato a morte, ti suggerisce anche i rimedi per tenere sotto controllo gli
eventi avversi e ti fornisce qualche antidoto per quelli più banali. Semplifica
tutto in quattro categorie. O meglio: ciò che puoi tenere sotto controllo è
limitato a quattro categorie. Nausea, vomito, diarrea e mucosite. Così ti
attrezzi con una valigetta, che ti porti dietro anche per viaggi brevi verso
mete limitrofe, che sembra quella di Mary Poppins. Dentro ci sono farmaci e
presidi indispensabili nel momento del bisogno. Compresa la crema solare. Se
uno odiava l'abbronzaggio selvaggio ora patisce anche l’assenza di insolazione
lieve.
La prima seduta di
chemioterapia, affrontata in solitaria, lascia una sensazione vaga, un bruciore
al braccio, un abbassamento di voce, movimenti inconsulti delle palpebre in
reazione al vento, spilli in gola a bere acqua fresca, spilli alle mani a
prendere oggetti direttamente dal frigorifero. Il primo controllo ematico
lascia soddisfatti col suo emocromo da bistecca umana, senza crepe nella densa
popolazione di globuli, rossi e bianchi, e nessuna scoloritura della tonalità
scarlatta.
La terapia prosegue sempre
uguale, ogni ventuno giorni. I sintomi ogni volta hanno un esordio sempre più
precoce, diventano più intensi e durano per più tempo ma, fortunatamente, tutto
rimane fisicamente ben sostenibile. L'ipertensione è subito sotto controllo,
l’irritazione intestinale provoca deboli conseguenze sull’alvo, senza turbare
la quotidiana ripetitività. Col vantaggio della perdita di peso. Poca roba.
L’emocromo rimane denso dei suoi componenti misurabili.
La vita scorre come al solito.
Casa, lavoro, giardino, cane, gatti, cena, figli, seduta di chemioterapia,
pasticche, misura della pressione. Piedi
e mani che si colorano, piedi che si sbucciano. Casa, lavoro, giardino,
cane, gatti, cena, figli, seduta di chemioterapia, pasticche, misura della
pressione. L'aria fresca che rende afoni. Casa, lavoro, giardino, cane, gatti,
cena, figli, seduta di chemioterapia, pasticche, misura della pressione. Le
amate verdura e frutta che provocano contorcimenti delle budella.
La mente, preda di mille
distrazioni, si risveglia all’improvviso ogni volta, angosciata dall’avvicendarsi
dell’ennesima seduta di chemioterapia, memore delle spiacevoli sensazioni
lasciate dalla precedente. Il sistema nervoso non riesce ad adagiarsi sul ritmo
anomalo di ventuno giorni che sostituisce artificiosamente il ciclo lunare.
Il corpo non cede
all’avvelenamento ma ricorda l'ingresso del liquido infiammante e ne intuisce
il senso: veleno, poison, venenum. Così, al pensiero di cominciare da capo
l’insostenibile rito, lo stomaco si ribella e assume un comportamento subdolo:
somatizza ma non espelle. Insorge la repulsione mentale: è un conato
psicologico. Ansia anticipatoria, si chiama.
La parvenza di normalità,
assecondata da un corpo robusto, è inconsciamente inaccettabile da condurre
dentro un’esistenza scandita dal ritmo della terapia. Specialmente per chi non
ama essere ripetitivo.
Ritmo accettato a malincuore
solo in nome dell’effetto benefico della terapia venefica. E i sintomi lievi, che all’inizio
confortano, quando si avvicina il momento di un evento diagnostico, sono
angoscianti perché inducono all'errata interpretazione di inefficacia della
terapia. Colpa del bravo chirurgo incolpevole, che, temendo di aver esagerato
col lungo elenco delle cose terribili che la chemioterapia può produrre,
conclude edulcorando… che poi quando gli effetti collaterali sono intensi è
anche quando la terapia funziona meglio…
Allora non funziona, pensi, io
sto bene!
Quella contro il cancro è una battaglia lunga. Si sa.
(giugno 2013)
Reale e spietato. Un racconto efficace nella sua descrizione del dolore e della lotta quotidiana contro qualcosa che non vedi ma che senti dentro di te. Con la giusta ironia per convincersi che, in fondo, la lotta è dura, ma vincerla non è impossibile. Racconto meritevole.
RispondiEliminaBen trovata.