venerdì 18 novembre 2016

Della serie Dieta e Disciplina: sulla necessarietà dell'esperienza psichedelica

Alla fine di giugno il mio nutrizionista letterario mi aveva proposto una dieta personalizzata a base di esperienza psichedelica (da assumere per via cartacea), non so se pensasse che l'assaggio narrativo mi avrebbe predisposto a mordere un funghetto, tuttavia, siccome non sono disciplinata, ho dovuto almeno seguire la dieta che consisteva in una triade siffatta: Le porte della percezione di Huxley, Le lettere dello Yage di Burroughs e Ginzberg e Abbacinante di Cartarescu.


Ho letto i primi due ma non ne ho tratto grande soddisfazione.


L'ingegno e la penna di Huxley mi sembrano superbi, ma il tentativo di convincere che il viaggio psichedelico giovi alla medicina e, in subordine, all'arte mi pare debole. Pone a presupposto ciò che invece dovrebbe essere il punto di arrivo: che il cervello del matto e quello del sano funzionino in modo diverso. In realtà questa sarebbe stata la tesi da dimostrare ma negli anni successivi si è rivelata un assunto sbagliato. Anche se misura e registra tutti gli effetti dei suoi esperimenti non si può affermare a buon giudizio che Aldous segua un metodo scientifico alla maniera di Galileo. 
Io ho invece percepito forte e chiara la volontà da parte dell'autore di avvalorare la propria tesi e cioè che l'uso delle sostanze psicoattive sia utile per indagare la psiche alterata ma soprattutto per acuire il talento artistico. Mi sembra però che si pervenga a un unico risultato, non misurabile (e quindi fuori dal metodo sperimentale) per altro paragonabile per valore scientifico alla scoperta dell'acqua calda: l'alterazione fungina permette di vedere le cose nella loro cosezza.
Pur trovandolo un valido argomentatore,  Huxley risulta troppo sofista per i miei gusti.
Le sue conclusioni sono giustificabili soltanto, ammessa e non concessa la liceità del metodo, per le scarse conoscenze dell'epoca sul sistema nervoso e degli effetti su di esso di sostanze esogene. Oggi che è nota l'anatomia e la fisiologia del cervello e l'azione farmacologia delle sostanze d'abuso, soprattutto gli effetti dannosi permanenti, è capzioso e surrettizio propugnare l'esperienza psichedelica come metodo per produrre capisaldi narrativi. 


Ne Il viaggio nel grande verde (come viene confidenzialmente chiamato lo yage) non ho trovato invece alcun interesse né per gli argomenti né per le argomentazioni. Mi ha colpito soltanto una latente ingenuità e mi ha urtato una certa modalità cazzeggio poco interessanti. Non mi sono immedesimata in ciò che leggevo e non ho avuto pulsione né urgenza di continuare a leggere. Del resto non ho mai abusato di sostanze d'abuso, mi sono affrancata dalla nicotina e indugio nell'alcol a stomaco pieno, non ho intenzione di cambiare abitudini e mi bastano le mie endorfine: che ho in comune coi due compari? Il grande verde mi ha stufato immediatamente anche per la forma epistolare che mi annoia. Non sono riuscita a leggere neanche La società letteraria di Guernsey benché la Shaffer abbia una certa vivacità di scrittura.

Certo se il succo denso dell'opera arriva a metà del libro il mio giudizio è discutibile perché frutto di analisi incompleta. Le mie ultime speranze sono riposte in Cartarescu e che Dio me la mandi buona...



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