lunedì 29 febbraio 2016

Il mio mare in tempesta


Nel mare in tempesta
Ho nuotato tanto
Ho nuotato forte
Quasi mai perdendo il ritmo
Controcorrente
Quasi sempre curando lo stile
Controcorrente
Ma questa sponda viscida mi spaventa
Non voglio salire
Temo di scivolare
Rimango a mollo
Galleggio supina
Ironia della sorte 
Sopravvivo facendo il morto.

(30 gennaio 2014)

domenica 28 febbraio 2016

Il grillo e la farfalla


Fatti non foste a viver come bruchi...
diceva il grillo saggio alla farfalla,
ma quella, assisa sull'umana spalla,
fece spallucce e, subito, perì...

sabato 27 febbraio 2016

Ernesto

Ernesto, in piedi in un angolo, era incollato ai cartoni di uova che tappezzavano le pareti dello studio in penombra, a lato della microscopica cabina di trasmissione di Radio Luna. Dentro il bugigattolo due compari cazzeggiavano nella consuetudine pomeridiana. Spacciavano la diffusione della trasmissione musicomica come proveniente dall’appennino tosco-cubano. Radio Luna invece era in via Tripoli ma erano gli albori delle radio private e tutti scimmiottavano i padri fondatori. La santa trinità: Arbore, Boncompagni, Marenco. Quella fu la prima volta che lo vidi. Io avevo diciassette anni e lui venti.
Ernesto era diventato il nostro riferimento FM perché era amico di Alessandro, che era amico di Stefano, che era fratello di Fiamma, che aveva una amica del cuore e tutte e due frequentavano il mio gruppo parrocchiale. Rinunciando alla salvezza dell’anima avevo perso di vista la Fiamma. L'avevo però ritrovata al Mike in via della Colonna. E lì c'erano anche Stefano ed Alessandro. Quest'ultimo, riservato studente, era un insospettabile DJ, atipico col suo stile all’inglese da figlio della Firenze bene. Ci aveva presentato i suoi amici radiofonici, molto più casual, che, nel giro di poco tempo, divennero anche amici nostri. Essendo noi femmine e loro maschi, le relazioni furono un po' più complesse. Nel breve periodo di un anno fummo capaci di produrre relazioni e rotture, prove in soffitta, litigi e riappacificazioni. 
Ernesto era studente universitario iscritto a Lettere, con scarsa convinzione, dopo aver iniziato, con scarso profitto, la strada della giurisprudenza. In realtà amava sfrontatamente la musica: lavorava da Contempo, quando era ancora solo un negozio di dischi. Il suo stipendio finiva tutto in vinile. Aveva una collezione che allora vantava ben 1000 trentatre giri. Io, all'epoca, ne avevo sì e no tre. 
Ernesto suonava nei Lightshine con Gianni, Ugo, Alessandro, Paolo, Giovanni, Sergio e altri avventizi. Noi pisquane avevamo velleità canore e il fascino che si dice emanino i musicisti ci colpì inevitabilmente. Attrazioni fatali incrociate accoppiarono Gianni con Lucia e attirarono su di me l'attenzione di Ernesto, suggellata dal dono dello struggente The Pretender di Jackson Browne.
Ernesto e i Lightshine organizzarono un concerto alla casa del popolo di San Casciano. A me e Lucia era stato concesso di cantare il coro sul pezzo finale ma, si sa, le groopies sono tuttofare e prima fummo piazzate alla cassa. Finì che facemmo pagare il biglietto anche ad un chitarrista, amico di Gianni, che era venuto per esibirsi coi Lightshine. Noi oche, lui imbranato.
Ernesto cercava di educarci all'ascolto del west coast rock, introducendo noi bifolchi ad artisti che manco sapevamo esistessero. Si incaponì di farci piacere i Talking Heads e ci segregò l’intero pomeriggio di un domenica di primavera, davanti alla TV che trasmetteva un concerto del gruppo di David Byrne. Noi, infarciti di rock duro, non eravamo ancora pronti a comprendere la sua lungimiranza da talent scout. Lui non si capacitava della nostra cocciutaggine. Continuava ad esprimere il suo disappunto esclamando, come al solito, Gesù! con la esse dolce, tradendo con ciò la sua origine partenopea, ben nascosta dal resto dell'accento e dalle consuetudini fiorentine. Del resto di secondo nome faceva Carmine.
Ernesto era spigoloso ed aveva una forte personalità che lo faceva spesso scontrare coi compagni di ventura musicale. Ma ai nostri occhi di pischelli risultava un personaggio unico nel suo genere perché faceva cose affascinanti: il conduttore in radio, il leader discusso di un gruppo, l’estimatore di rarità musicali. Gli altri percorrevano le loro strade banali: chi studiava, chi lavorava, ma nessuno aveva ancora un'idea precisa di quello che voleva fare da grande.
Ernesto sapeva cosa voleva diventare e la sua carriera come conduttore ebbe un’impennata dopo che Radio Luna entrò nel network Radio Gamma, iniziando il percorso che lo condusse alla RAI. La sua musica era notturna, già a Radio Luna, poi con Rai Stereo Notte ma anche a Controradio, col suo figlio prediletto: il Popolo del Blues.
Ernesto era anche uno che si dava anima e corpo ai progetti in cui credeva. Non gli bastavano i Lightshine: creò gli Hypnodance. Inventò contest musicali e programmi televisivi. Non contento scriveva saggi critici e recensioni musicali. Divenne biografo di musicisti e produttore dei dischi degli altri. Ma io già non lo frequentavo più.
Ernesto lo incrociai per caso negli anni novanta. Non lo vedevo da secoli e la perdita di consuetudine aveva indebolito la nostra confidenza: ero in soggezione come di fronte ad un cardinale. Balbettai parole di ammirazione per i suoi successi e subito confessai che non ero stata degna della fiducia da lui riposta nelle mie doti canore. Infatti non avevo prodotto un granché in campo musicale. Affettuosamente mi confortò assicurandomi che le mie figlie erano la mia migliore produzione. Mi promise di ammettermi in un backstage degli Articolo 31 appena possibile perché gli avevo raccontato dell’eccitazione delle mie figliolette nell’apprendere che la loro mamma conosceva il produttore dei loro beniamini.
Ernesto finalmente mise la testa e le radici in un unico posto, sposando Laura, non a caso pianista. Un giorno, per caso, incontro Lucia con una bella signora bionda, alla fine di una sequela di convenevoli la Lucia si sveglia e mi fa:  Ah, a proposito, questa è la moglie di Ernesto! 
Ernesto aveva fondato e si prendeva cura della rivista elettronica Il Popolo del Blues. Lì dentro avevo trovato le notizie del suo passato non condiviso. Lì dentro c’è l’immagine del Wall of Sound che racconta senza parole che i mille dischi erano stati solamente l’inizio. Mi aggiunsi alla mailing list. Fu così che seppi dell'intervista che mi spinse ad inviargli una mail di felicitazioni:
Complimenti Ernesto,
credo che l'incontro con uno dei tuoi miti sia stata una cosa indescrivibile ai più.
Io, se non era per te, non avrei mai nemmeno saputo che gli Steely Dan esistevano.
Ed ora mia figlia ascolta tutto questo po' po' di buona musica che porto in dote.
Mi rispose commosso per questo mio riconoscimento tardivo al suo impegno. 
Ernesto l’ho avvicinato per l’ultima volta il 15 febbraio del 2011, in una San Marco gremita. Ero lì, a condividere il dolore della mamma, della sorella e della moglie affrante. Insieme ad eccentrici musicisti e musicofili sotto tono e defilati. Seduta tra amici dai nasi rossi e gli occhi gonfi di lacrime.

Saluti da MiMa


Un felino di specie indefinibile cerca, con poca convinzione, di atterrire i passanti con le zanne immobili appiattite disegnate su un deltoide lucido e glabro. Il dorso ospita due volti inespressivi, irriconoscibili. Potrebbero essere i suoi nonni come anche Mao e il Che o Sonny e Cher coi capelli corti. Il polpaccio arrosolato ospita una spirale di linee nere dal calibro decrescente andando verso la caviglia. Negli spazi liberi, triangolini pieni e vuoti. Passata lera degli ideogrammi orientali incomprensibili per chiunque, a partire dallo stesso proprietario, ora c’è il più sincero tatuaggio tribale che si comprende subito che non significa niente. Lespressione del giovanotto sdraiato ad occhi chiusi sul telo di spugna, è di soddisfatta relazione di coppia con la biondina che gli accarezza la spalla. Quella libera da inchiostro. Per ora.

Un neonato esprime il suo disappunto per il trasbordo sullarenile alle 11.30 anti meridiane avvenuto senza il suo consenso. La giovane madre non comprende il motivo del suo pianto disperato e isterico. La pelle arrossata sotto lo scoppio di sole, la sabbia che penetra da ogni pertugio nel pannolino e gli insettucci domiciliati sulla battigia che si appiccicano alla pelle sudata non le suggeriscono niente. In mano ha una copia del numero speciale agostano di una rivista per femmine poco esigenti: Letto e Riletto - versione estiva del Fritto e Rifritto invernale. Forse ancora non lo ha aperto alla pagina de I (soliti) pericoli dellestate. 
Le sue esigenze di abbronzaggio annullano la paura irrazionale verso tutto ciò che circonda lerede, che negli altri mesi dellanno la fa assillare chiunque le stia intorno: madre, suocera, marito. Pediatra. I normali principi di precauzione non vengono applicati. Il compagno innervosito le chiede di prendere al più presto provvedimenti per tacitare linfante che lui non sa come si fa.

La primipara attempata è succube della primogenita isterica, che viene lasciata scorrazzare a suo piacimento allinterno del campeggio durante le ore del silenzio postprandiale, ma dentro lacqua salata la madre vuole imporre alla figlioletta (tre etti con la coratella) il proprio standard di divertimento. La spoglia, evidentemente contro il suo consenso, infatti mentre la nonna ripete allinfinito il suo verso esclamativo: non si può certo fare il bagno con la maglietta! la piccola iena inizia a strillare allo sfilamento della prima manica della maglietta e lo farà per tutto il tempo del bagnetto. Intanto ai cuginetti più grandi, dentro lacqua fino alle ginocchia, dalla medesima nonna viene proibito di schizzare la suddetta acqua.

Genitori e nonni, si danno uninutile aria da severi educatori urlando a figli e nipoti improperi e minacciando punizioni iperboliche da lontano. In realtà non prendono alcun provvedimento, tranne dare un saggio di comunicazione urlante: deve essere la famigerata educazione a distanza.

I nonni factotumin certi casi se non ci fossero bisognerebbe ringraziare il cielo.

I bimbi piccoli non fanno la doccia, si lavano nella apposita vasca altezza lavandino sotto un cartello che, come non fosse evidente dalle dimensioni della vaschetta, ne specifica luso per i minori di tre anni. Non specificano quello che suggerirebbe però il buonsenso: nel bagno delle donne tale incombenza spetta alla nonna. La brava massaia invece ottimizza e mentre fa la doccia lei è il nonno che deterge il fanciullino nella suddetta vasca. Passi questo abuso ma quando il nonno in questione, uscita la moglie dal loculo doccia, ne prende il posto sorge spontanea la protesta cortese: scusi, perché lei fa il bagno nella doccia delle donne? Lui non riesce a proferire verbo, la moglie lesta gli viene in soccorso: Perché c’è lui, ammicca al nipotino - maschio. Si ma se lo poteva portare nel bagno degli uomini, no? è così che si deve fareLui ostenta sempre mutismo ebete (forse è il suo modo di ammettere il torto), lei ratta sapprende Perché qui ci sono io. Forse intende in quanto femmina anche se ne ha abbandonato le sembianze da gineceo da un poessendo diventata un cubo informe. Ma che discorso! da sempre i bimbi vanno nello spogliatoio del sesso dellaccompagnatore Stizzisco. Ssì, ssì… ha ragione leeei mi asseconda sarcastica la budellona uno e quaranta per uno e quaranta, praticamente quadrata, mentre lui riprende, non molto convinto, a sciacquarsi. Sì, decisamente lui sa di avere torto. Le proteste in direzione non danno soddisfazione, alzano le spalle dichiarandosi impotenti. Apporre lennesimo cartello non farebbe la differenza. Nel pomeriggio è un giovane che infila nella vaschetta un bambino. Stesso stile, stessa taglia del bambino del mattino, che sia il figlio o il genero della famigerata coppia? Allertato immediatamente, un operatore della direzione si attiva per demaschilizzare lo spogliatoio femminile.

Il mercatino di sassi dipinti e intrecci di plastica colorata non ha clienti. Per dare fiducia allo slancio imprenditoriale nato nella roulotte accanto - quattro bimbette di età da scuola primaria e secondaria inferiore mentre i maschi stanno a guardare vergognosi - compro per un euro un sasso fucsia personalizzato con la doppia iniziale del mio nome, utilissimo, date le dimensioni, come fermaporte per la casa degli uccellini che non ho (né la casa, né gli uccelli). Per 50 centesimi mi tocca un nastrino intrecciato rosa/azzurro da usare come portachiavi. Le venditrici rimangono soddisfatte dalla loro unica cliente. Dopo un pouna nonna delle loro si avvicina disprezzando ad alta voce i manufatti e dichiarando che elargirà denaro soltanto quando le artigiane improvvisate produrranno oggetti di suo gradimento. Parenti serpenti.

In campeggio la notte non porta consiglio e il vicino dalla voce arrochita dalle sigarette, che è già parecchio irritante di giorno per tono vocale e livello di bassa lega della conversazione, verso le due e mezzo inizia a blaterare con un suo pari sulla sua insonnia, più o meno per unora. Nessuno del vicinato protesta. I suoni gravi sono quelli che si sentono meglio da lontano, spiegava la prof di fisica ad un mio compagno bofonchiante dallultimo banco. O forse la mia ipersensibilità deriva dal dormiveglia in attesa del ritorno del gaglioffo in giro. A donne, spero, le preferisco alle sostanze psicotrope. 

Il Bar Pizzeria Ristorante offre intrattenimento musicale che va dal Karaoke, attraversa il piano bar e finisce in bellezza con lesibizione di danze tipiche romagnole e non. Una danzatrice del ventre, senza pancia, magra come una mannequin, si è esibita con grazia ed equilibrio danzando con dei ventagli ornati di sete fruscianti e tenendo in equilibrio sulla testa un vassoio di candele accese. Fisicamente è molto lontana dallidea classica di sensualità medio orientale, per volume sarebbero più appropriate le femmine astanti prive di qualsivoglia grazia e men che meno di senso del ritmo. La giovane sarebbe attraente comunque in quanto ostenta un sincero sorriso: decisamente non è modella in quanto è assente lespressione ingrugnata tipica da reclame patinata.

Adolescenti iperattivi a corto di idee per il dopo pranzo - mai che venga in mente di studiare per lesame di settembre - si rifugiano dentro il camper, dove nonostante lora e gli scarsi metri cubi daria a disposizione, la temperatura è accettabile, per riesumare la PS2, consolle ormai vintage, e giocare a Dragon Ball. Mentre violentano il joy stick, ruttano e spetazzano, tanto non ci sono in giro femmine della loro misura con cui pavoneggiarsi come tentano di fare ogni sera, quando si profumano ascelle e magliette, che però finora non è servito a raccattare pallino. Che è come dire non hanno battuto chiodo. Età ingrata quella dello sviluppo maschile: abbassamento della voce, disseminazione di peli, iperplasia delle palle non accompagnata da quella dellego che invece è indispensabile per trovare il coraggio di dichiararsi a femmine in carne ed ossa. Quindi rimangono il biliardo, i racchettoni, la piadina e i rutti.


In questo circondario allietato dal profumo di roast beef delle sedici, la villeggiante calata nel suo ruolo, assidua cliente della locale rosticceria, in crisi dastinenza di bagno a mare da una decina danni, nonostante il sole cocente e la sabbia rovente, a causa di un venticello che mitiga la famigerata umidità romagnola, e in virtù di acqua incredibilmente limpida, si appresta al tuffo inevitabile che la sorprende, non crederebbe di averlo fatto se non ci fossero a riprova le mutande bagnate. 
(agosto 2015)