sabato 27 febbraio 2016

Ernesto

Ernesto, in piedi in un angolo, era incollato ai cartoni di uova che tappezzavano le pareti dello studio in penombra, a lato della microscopica cabina di trasmissione di Radio Luna. Dentro il bugigattolo due compari cazzeggiavano nella consuetudine pomeridiana. Spacciavano la diffusione della trasmissione musicomica come proveniente dall’appennino tosco-cubano. Radio Luna invece era in via Tripoli ma erano gli albori delle radio private e tutti scimmiottavano i padri fondatori. La santa trinità: Arbore, Boncompagni, Marenco. Quella fu la prima volta che lo vidi. Io avevo diciassette anni e lui venti.
Ernesto era diventato il nostro riferimento FM perché era amico di Alessandro, che era amico di Stefano, che era fratello di Fiamma, che aveva una amica del cuore e tutte e due frequentavano il mio gruppo parrocchiale. Rinunciando alla salvezza dell’anima avevo perso di vista la Fiamma. L'avevo però ritrovata al Mike in via della Colonna. E lì c'erano anche Stefano ed Alessandro. Quest'ultimo, riservato studente, era un insospettabile DJ, atipico col suo stile all’inglese da figlio della Firenze bene. Ci aveva presentato i suoi amici radiofonici, molto più casual, che, nel giro di poco tempo, divennero anche amici nostri. Essendo noi femmine e loro maschi, le relazioni furono un po' più complesse. Nel breve periodo di un anno fummo capaci di produrre relazioni e rotture, prove in soffitta, litigi e riappacificazioni. 
Ernesto era studente universitario iscritto a Lettere, con scarsa convinzione, dopo aver iniziato, con scarso profitto, la strada della giurisprudenza. In realtà amava sfrontatamente la musica: lavorava da Contempo, quando era ancora solo un negozio di dischi. Il suo stipendio finiva tutto in vinile. Aveva una collezione che allora vantava ben 1000 trentatre giri. Io, all'epoca, ne avevo sì e no tre. 
Ernesto suonava nei Lightshine con Gianni, Ugo, Alessandro, Paolo, Giovanni, Sergio e altri avventizi. Noi pisquane avevamo velleità canore e il fascino che si dice emanino i musicisti ci colpì inevitabilmente. Attrazioni fatali incrociate accoppiarono Gianni con Lucia e attirarono su di me l'attenzione di Ernesto, suggellata dal dono dello struggente The Pretender di Jackson Browne.
Ernesto e i Lightshine organizzarono un concerto alla casa del popolo di San Casciano. A me e Lucia era stato concesso di cantare il coro sul pezzo finale ma, si sa, le groopies sono tuttofare e prima fummo piazzate alla cassa. Finì che facemmo pagare il biglietto anche ad un chitarrista, amico di Gianni, che era venuto per esibirsi coi Lightshine. Noi oche, lui imbranato.
Ernesto cercava di educarci all'ascolto del west coast rock, introducendo noi bifolchi ad artisti che manco sapevamo esistessero. Si incaponì di farci piacere i Talking Heads e ci segregò l’intero pomeriggio di un domenica di primavera, davanti alla TV che trasmetteva un concerto del gruppo di David Byrne. Noi, infarciti di rock duro, non eravamo ancora pronti a comprendere la sua lungimiranza da talent scout. Lui non si capacitava della nostra cocciutaggine. Continuava ad esprimere il suo disappunto esclamando, come al solito, Gesù! con la esse dolce, tradendo con ciò la sua origine partenopea, ben nascosta dal resto dell'accento e dalle consuetudini fiorentine. Del resto di secondo nome faceva Carmine.
Ernesto era spigoloso ed aveva una forte personalità che lo faceva spesso scontrare coi compagni di ventura musicale. Ma ai nostri occhi di pischelli risultava un personaggio unico nel suo genere perché faceva cose affascinanti: il conduttore in radio, il leader discusso di un gruppo, l’estimatore di rarità musicali. Gli altri percorrevano le loro strade banali: chi studiava, chi lavorava, ma nessuno aveva ancora un'idea precisa di quello che voleva fare da grande.
Ernesto sapeva cosa voleva diventare e la sua carriera come conduttore ebbe un’impennata dopo che Radio Luna entrò nel network Radio Gamma, iniziando il percorso che lo condusse alla RAI. La sua musica era notturna, già a Radio Luna, poi con Rai Stereo Notte ma anche a Controradio, col suo figlio prediletto: il Popolo del Blues.
Ernesto era anche uno che si dava anima e corpo ai progetti in cui credeva. Non gli bastavano i Lightshine: creò gli Hypnodance. Inventò contest musicali e programmi televisivi. Non contento scriveva saggi critici e recensioni musicali. Divenne biografo di musicisti e produttore dei dischi degli altri. Ma io già non lo frequentavo più.
Ernesto lo incrociai per caso negli anni novanta. Non lo vedevo da secoli e la perdita di consuetudine aveva indebolito la nostra confidenza: ero in soggezione come di fronte ad un cardinale. Balbettai parole di ammirazione per i suoi successi e subito confessai che non ero stata degna della fiducia da lui riposta nelle mie doti canore. Infatti non avevo prodotto un granché in campo musicale. Affettuosamente mi confortò assicurandomi che le mie figlie erano la mia migliore produzione. Mi promise di ammettermi in un backstage degli Articolo 31 appena possibile perché gli avevo raccontato dell’eccitazione delle mie figliolette nell’apprendere che la loro mamma conosceva il produttore dei loro beniamini.
Ernesto finalmente mise la testa e le radici in un unico posto, sposando Laura, non a caso pianista. Un giorno, per caso, incontro Lucia con una bella signora bionda, alla fine di una sequela di convenevoli la Lucia si sveglia e mi fa:  Ah, a proposito, questa è la moglie di Ernesto! 
Ernesto aveva fondato e si prendeva cura della rivista elettronica Il Popolo del Blues. Lì dentro avevo trovato le notizie del suo passato non condiviso. Lì dentro c’è l’immagine del Wall of Sound che racconta senza parole che i mille dischi erano stati solamente l’inizio. Mi aggiunsi alla mailing list. Fu così che seppi dell'intervista che mi spinse ad inviargli una mail di felicitazioni:
Complimenti Ernesto,
credo che l'incontro con uno dei tuoi miti sia stata una cosa indescrivibile ai più.
Io, se non era per te, non avrei mai nemmeno saputo che gli Steely Dan esistevano.
Ed ora mia figlia ascolta tutto questo po' po' di buona musica che porto in dote.
Mi rispose commosso per questo mio riconoscimento tardivo al suo impegno. 
Ernesto l’ho avvicinato per l’ultima volta il 15 febbraio del 2011, in una San Marco gremita. Ero lì, a condividere il dolore della mamma, della sorella e della moglie affrante. Insieme ad eccentrici musicisti e musicofili sotto tono e defilati. Seduta tra amici dai nasi rossi e gli occhi gonfi di lacrime.

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