domenica 14 agosto 2016

Ritorno all’isola

       Quando uno è supino in mezzo al mare, inerte, come smembrato, faccia al cielo e testa tra le nuvole può essere morituro per imminente, ineluttabile, ingestione di acqua o sdraiato sulla vetta di un'isola a scrutare l'imperscrutabile.
Io non so immergermi e non è che non ci abbia provato. Sono andata sotto di quaranta centimetri col boccaglio, a riva. Mi assalì una costrizione claustrofobica che mi provocò una forte tensione emotiva e io non sopporto la tensione, non mi va di turbare inutilmente il mio stabile sistema neurovegetativo.
Così continuo a privarmi della meravigliosa visione della vita che ferve sotto il pelo dell'acqua. Il brulichio marino, che mi incentiverebbe a esplorare sotto il pelo dell’acqua tanto quanto il formicolio a grattarmi, rimane quindi, per me, un mistero.
Invece sono sempre stata perfettamente in grado di inerpicarmi per un pendio, niente di difficile, né ferrate né free climbing, un semplice movimento di piedi alimentato dallo sforzo di cosce e polpacci ed equilibrato dal ritmico ciondolìo degli arti superiori. Con scarpe tecniche non troppo pesanti, pantaloni sportivi presi al mercato e lo zaino dismesso da uno della mia prole, posso affrontare anche pendici vertiginose: se non guardo troppo sotto non ho neanche un cedimento.
        Ma oggi, addentrarmi nell'aria sottile del Monte Le Penne, mi ha provocato uno stordimento che va ben oltre le vertigini o la rarefazione dell'ossigeno: il silenzio poderoso e la robusta spazialità del cielo consolidano la mia sensazione di essere sola nell’universo procurandomi l’appagamento di un soliloquio inseguito e raggiunto.
      Sono di nuovo qui, sul cocuzzolo dell'ex colonia agricola che non è passato molto tempo dal primo viaggio ma il ritorno all'isola è accompagnato da una intensa onda emotiva. 
L'orario del traghetto è rimasto lo stesso, la solita levataccia al buio solo che allora era umido e freddino e il progetto estivo era lontano, ora è ancora caldo e siccitoso e potremo fare il bagno. E chi lo schioda Enzo dalla spiaggia? 
       " Accidenti… peccato per il brutto tempo ma abbiamo prodotto tanto proprio perché siamo stati costretti in casa a scrivere. Meglio così… no… perché se è bel tempo, io non riesco a venire via dall'acqua...” Ebbe a dichiarare allora il nostro con un entusiasmo contenuto che mal si concilia con l’immagine che gira sul web di lui sorridente da un orecchio all'altro, immerso in una limpida acqua isolana, che è eloquente più di quanto possa esserlo qualunque sua dichiarazione verbale.
Scrivere a Capraia suggerisce la locandina. In queste riunioni estemporanee si conosce un po' di gente e poi non è detto che ci si vada a genio subito e forse neanche dopo. Ci unisce per un po’ la passione comune di scrivere e su questo costruiamo una relazione breve ma intensa, che può, ma non per forza, diventare a distanza oppure affievolirsi poco a poco. Può capitare che ci si riveda, come oggi, c’è ancora spazio, tempo e luogo per nuove conoscenze e io comincerò diligentemente a relazionarmi con apparente dispendio di energia per la consistente emissione di fiato. In realtà non fatico affatto, è una dote naturale. 
“Lei ha due polmoni fino al buco del culo.” Diceva il medico al mio babbo, quando lo auscultava. 
“L’è tutta i’ su’ babbo con la parrucca.” Diceva la mamma quando descriveva me bambina. E io somiglio troppo al mio babbo, purtroppo anche di dentro.
Stamani, al porto, mentre stringevo mani di sconosciuti compagni di nuove avventure narrative, ricordavo a me stessa di aver giurato di prestare maggiore attenzione ai sentimenti altrui. I soliti buoni propositi dopo uno scampato pericolo: mangiare meglio, muoversi di più, appagare il marito, ascoltare i figli, dare relazione alle amiche, scaricare gli assilli del lavoro per organizzare meglio la vita familiare. Ricavare spazio per respirare. Promesse mantenute dieci giorni, un vero record. Il ritorno all'isola dopo un’estate funesta è un evento catartico, adatto per contrattare con me stessa nuovi buoni propositi da non rispettare, giuramento verbale per rimanere salda nelle mie sacrosante decisioni vacillanti.
Come sia possibile rimanere saldi qui, poi non lo so: quassù tutto è sospeso, sono sullo stesso piano del cielo con le planate dei gabbiani tra le nuvole spazzate dai venti isolani, mie compagne le mucche. Se mi chiedessero che cosa c’è di più saldamente attaccato al terreno, potrei sicuramente pensare a una mucca, qui invece anche le mucche sono sospese in aria, brucano erbe sospese in aria e bevono acque di rivoli che nascono da sorgenti sospese… perché proprio io dovrei continuare a tollerare la gravità?
è il mio corpo che cambia, è una strana sensazione e in effetti mi sento librare in aria, pesantemente, con la stessa percezione della mente in un corpo meditante che prende possesso del proprio respirare per rilassarsi a cascata partendo dalle spalle e passando dalle braccia, e poi le mani e le dita delle mani e più giù alle gambe e i piedi per arrivare alle dita dei piedi fino a che né peso né consistenza sono più percepibili e il corpo è lì, spiaccicato sul tappetino e la mente lo contempla sorvolandolo come negli ex voto di quelli che hanno fatto ritorno dal tunnel di luce e sono lì, dipinti come figurine dei cartoni che aleggiano biancovestiti sopra il proprio corpo incidentato. Ma poi ci hanno ripensato e sono tornati indietro a raccontare del sé-da-fuori in un talk show.
Quando sono salita qui sul Monte Le Penne la prima volta ero partita insieme a cinque baldi giovani ma mentre loro avevano già conquistato la vetta, io ero ancora alle pendici. Tutta la materialità del mio corpo era sostenuta da gambe di marmo immobili come due cariatidi e in piena crisi cardiorespiratoria, alla faccia dei polmoni perianali.
L’inaspettata fatica disumana che mi costava quella salita, a tratti reale impossibilità di farlo, era della medesima portata della apparente facilità che esibivano quei cinque impertinenti senza mostrare alcun rispetto della mia testa grigia.
Sono troppo grassa. Pensavo mentre il fiato mi rimaneva ingroppato nella gola e intanto Chiara e Riccardo, come due atletici montanari tirolesi, corpo proteso a monte, polpacci guizzanti e incedere costante, ci avevano distaccato di più lunghezze. 
Si vede che loro sono allenati. Lui ha pure le scarpe da trekking! Deve fare parecchie escursioni. Rimuginavo mentre le cosce si rifiutavano di alzare le gambe.
Lorenzo si soffermava a fare foto. Allora anch'io, con scaltra teatralità e studiata noncuranza, facevo foto con un telefonino anteguerra, manifestando esagerato interesse per la vallata rivestita di cisti e corbezzoli. E per qualche minuto riprendevo a respirare.
Sono una donna di scienza con origini contadine: mi piace la natura selvaggia. Insistevo tenacemente nella pratica dell’autoconvinzione.
Poi anche Francesca e Sara mi distaccarono di un paio di tornanti. 
Sono moolto più giovani di me. Le invidiavo rammaricandomi di essermi lasciata andare fisicamente ma cercavo di consolarmi considerando che tutti gli ex atleti si imbolsiscono... guarda Giampiero Galeazzi e Bud Spencer... quando giocavo a pallavolo mica ero così...
A metà strada, oltrepassata l’inutile porta di accesso ad uno spazio verde non più circoscritto, mi sedetti su un muretto, postazione che mi permetteva di intravedere la prima costruzione del complesso penitenziario e gli altri che salivano gli scalini di mattoni. Fra sforzi indicibili ce la feci a raggiungerli solo perché la retroguardia si era fermata mentre i primi, i tirolesi, avevano proseguito più su dove dicevano che ci fosse uno splendido laghetto. Ancora ringrazio il cielo che gli altri tre non abbiano avuto più fiato o voglia o, semplicemente abbiano preferito fumarsi una sigaretta perché quella sosta mi riportò alla normalità e a un ritmo respiratorio regolare.
Per fortuna la discesa non mi fece crollare: le ginocchia, a dispetto dei menischi arrugginiti, funzionarono benissimo nel riportarmi a valle e placare temporaneamente le mie ansie.
Memore di quel evento, oggi ho affrontato di nuovo quel tragitto con un po' di preoccupazione e rigorosamente in solitaria: anche se ho già scarpinato nei dintorni di casa senza conseguenze, se non  i soliti dolori da risveglio muscolare forzato dopo lunga tregua, non volevo testimoni di un eventuale fallimento
  Sono partita dalla chiesa dell'Assunta, incamminandomi decisa a misurarmi con la salita senza distrazioni con  lo scopo di provare a me stessa che ce la potevo fare. Ho aggredito i tornanti con passo deciso e ritmo scandito mentre il sole era già alto, come allora ma un po' più cocente per la stagione estiva prolungata. Il respiro si è accelerato poi è diventato regolare e sono arrivata in cima senza mai fermarmi, nemmeno una sosta tecnica per bere acqua. In alto il cielo limpido era un incentivo ad arrivare fino in fondo, dove a marzo non ebbi cuore e finalmente ho potuto ammirare il lago, anche lui sospeso nel cielo. Mi sono lasciata andare supina, e sono rimasta inerte, come smembrata, faccia al cielo e testa tra le nuvole, a scrutare l'imperscrutabile.
Ora posso scendere e raccontare a tutti la mia avventura: ossigenazione 100%, in culo all’anemia.


Settembre 2012

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