Come ogni mattina il Dottor Casamonti era
arrivato per ultimo con la massima calma.
Era il suo modo di comunicare che non si era
portato a casa i problemi di lavoro del giorno prima.
In laboratorio non si angosciava mai, anche
quando Giorgio, il suo fido compare, gli sciorinava le criticità emergenti, non
si scomponeva e si preoccupava soltanto di trovare il modo per evitare il
proprio coinvolgimento.
Col solito fare insinuante, sbolognava i
problemi a qualcun altro. Che spesso ero io.
Ma quando era inchiodato dalle sue
responsabilità di dirigente del reparto produzione tondini di ferro, quando
doveva fare il dottore e lasciare da parte il Casamonti, diventava dinamico ed
esibizionista.
Prendeva il telefono, gonfiava il petto, tendeva
il diaframma e con voce baritonale e uso sapiente di parole misurate e battute
spiritose, ripristinava la
norma. Magari aveva anche allargato la cerchia delle persone
da sfruttare conquistando il malcapitato col suo charme.
Ma non era questo che mi irritava, anzi gli
riconoscevo questa sua abilità da incantatore di serpenti.
Non apprezzavo invece una sua peculiarità
originale, un comportamento automatico che, messo insieme al suo totale
dispregio degli spazi altrui, creava un certo imbarazzo a tutti i colleghi.
Quel lunedì dovevamo risolvere un problema
comune in attesa di soluzione fin dal venerdì precedente. Lui viene nel mio
ufficio, si accomoda sulla sedia di fronte alla mia scrivania e come sempre non
riusciva a stare fermo con le mani.
Come un bambino nevrotico il Dottor Casamonti
toccava tutto quello che gli capitava a tiro e anche sulla mia scrivania non
fece eccezioni.
Smontò e rimontò tutte le mie penne, spaginò un
pacco di fogli e, nel constatare quanto fossero belli i miei figli, fece tre o
quattro ditate sul vetro del ritratto di famiglia che avevo appena lucidato.
Mise le mani su tutte le caramelle sfuse della
mia scatola di cortesia, finché, finalmente, ne scelse una.
Io non sono troppo schizzinosa ma, dal momento
che il Dottor Casamonti teneva anche un altro comportamento discutibile questa
fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Il fatto è che il viscido aveva l’abitudine di
infilare mani e dita in tutti gli anfratti del suo corpo, naturali ed
artificiali. Naso, orecchie, patta, varco delle mutande tra le natiche.
Lo faceva senza pudore ormai anestetizzato dalla
consuetudine. Non credo che non se ne accorgesse piuttosto era convinto che
fosse un suo diritto ancestrale ereditato da un antenato ominide.
È inutile dire che mi alzai di scatto urlando questo
è troppo!
Lo espulsi dall’ufficio e, senza tema di passare
per schizzinosa, feci sparire dalla mia scrivania la scatola di cortesia con le
caramelle sfuse.
Nessun commento:
Posta un commento
Il tuo commento è in via di approvazione